Da duemila anni a Carrara si estrae il marmo più pregiato al mondo. Ma è ancora sostenibile?
Dives marmoribus tellus, “terra ricca di marmi”.Ci sono montagne di un bianco magico, in Italia, al confine fra Toscana e Liguria: sono le Alpi Apuane, solcate da ripidi torrenti che levigano da millenni la sua candida roccia. Il poeta Claudio Rutilio Namaziano, agli inizi del V secolo, ritornando nella sua Gallia da una Roma in piena decadenza, ne lascia una descrizione poetica e ancora attuale: Dives marmoribus tellus, quae luce coloris / Provocat intactas luxuriosa nives (“Terra ricca di marmi, che con la sua luce dei colori sfida sontuosa la neve immacolata”). Quello che descrive Namaziano è il marmo di Luni, o marmor lunensis, la pietra lucente sulla quale i romani costruirono il loro impero. E lo fecero a partire dal 155 avanti Cristo, anno nel quale la Repubblica conquistò definitivamente i liguri apuani, il porto di Luni e le sue preziose cave di marmo.
Che ancora oggi – a oltre duemila anni di distanza, transitando in auto lungo l’autostrada fra Sarzana e Forte dei Marmi – sono visibili come fossero neve perenne sulle montagne aguzze. Il marmo delle Alpi Apuane è un materiale fra i più puri, candidi e pregiati al mondo, ma è anche presente in abbondanza ed è facile da trasportare. Per questo è stato così amato dai romani, dagli scultori del Rinascimento e dell’età moderna, perfetto per le esigenze della monumentalità imperiale e della statuaria romantica. Il marmo di Luni (ma dopo l’abbandono dell’antico porto vi verrà associato il nome di un’altra località, Carrara, la città che è sorta al centro delle cave) è l’oro bianco scolpito da Danatello e da Michelangelo, dal Giambologna e dal Canova, artisti che fra queste montagne salivano di persona a scegliere i blocchi di marmo e – si dice – anche a fare incetta del lardo di Colonnata, un gustoso salume stagionato nelle vasche di marmo e per secoli compagno fedele dei pranzi dei cavatori. Citato da Dante nella Divina Commedia, il marmo di Carrara ha sfidato il tempo e disegnato parte del mondo che conosciamo, contribuendo alla realizzazione di icone come l’Arco di Tito a Roma e la Freedom Tower di New York, il Duomo di Pisa e l’Oslo Opera House, il Taj Mahal in India e il Campidoglio di Washington.
Carrara è un patrimonio culturale unico, uno scrigno di conoscenza e tradizione che la tecnologia nell’ultimo secolo ha modificato radicalmente.
Oggi poco più di seicento cavatori (un tempo erano ventimila) da 160 cave estraggono ogni anno tre milioni di tonnellate del marmo migliore, fra Calacatta, Venato, Bianco di Carrata, Cipollino e il più raro Statuario: amato da Michelangelo, quest’ultimo rappresenta il cinque per cento del totale estratto nel comprensorio delle Alpi Apuane. A partire dall’Ottocento è cambiato tutto, prima con l’arrivo dell’industrializzazione estrattiva inglese, poi con l’uso massiccio dell’esplosivo e infine con due invenzioni in grado di
tagliare molto più facilmente il marmo: il filo elicoidale prima e il filo diamantato poi. Per farsi un’idea di cos’era questo mondo ormai scomparso occorre guidare fra le strette strade delle Alpi Apuane, fra buche, detriti ed enormi camion che trasportano blocchi, visitare il museo di Fantiscritti (da qui è anche possibile entrare in una cava con una visita guidata) e scendere poi a valle, verso i Ponti di Vara: se ci arrivate alla metà di agosto vi imbatterete in una incredibile rappresentazione storica, quella dei lizzatori.
La cosiddetta “lizzatura” era il trasporto a valle dei blocchi di marmo, che in passato avveniva rigorosamente a mano. Una procedura pericolosissima che impiegava decine di uomini e che oggi, ogni metà di agosto, viene ripetuta davanti a un folto pubblico di curiosi, acuti osservatori che rimangono tutto il tempo con il fiato sospeso. Perché se il blocco di marmo è legato a due robuste funi ancorate a monte e rilasciate centimetro dopo centimetro, a fianco e sotto al blocco ci sono i lizzatori che preparano la discesa all’enorme
masso di pietra creando file di blocchi di legno: una procedura rischiosissima che nei secoli ha causato incidenti e tragedie. Una volta a valle il blocco veniva trainato dai buoi che seguendo la via Carriona (dei carri, appunto, poi sostituita dalla Ferrovia Marmifera) transitava a fianco del duomo di Carrara, realizzato ovviamente in marmo, per arrivare infine al vicino porto sul Mare Tirreno. Una curiosità: ancora oggi l’emblema di Carrara è una ruota con il motto latino Fortitudo mea in rota, “la mia forza è nella ruota”, un simbolo che fa evidentemente riferimento alle ruote dei carri utilizzati per il trasporto del marmo.
Anche quella del cavatore è una professione entrata nella leggenda. Da queste parti erano così bravi ed esperti che quando alla metà degli anni Sessanta ci fu bisogno di smontare e ricostruire il tempio di Abu Simbel, in Egitto (in conseguenza dell’apertura della diga di Assuan), chiamarono proprio loro, i ragazzi di Carrara. Certo, quello del cavatore era un lavoro duro e poco remunerato. Vivevano con la famiglia vicini alle cave, senza servizi né scuole per i bambini, e ogni sera questi uomini segnati dal tempo che sfidavano la montagna portavano con sé piccoli sassi bianchi, prendendoli dalle cave o raccogliendoli nei “ravaneti” (le discariche dove è stato gettato per secoli il marmo di scarto): con questi sassi, uno dopo l’altro, costruivano lentamente le fondamenta e i muri di quella che sarebbe diventata la loro casa. Sono nati così, con le mura impastate grazie alla sabbia che le mogli andavano a raccogliere lungo i greti dei fiumi, buona parte dei villaggi che circondano ancora oggi le cave.
Vero e proprio patrimonio italiano, oggi il marmo di Carrara è la punta di diamante di un mercato lapideo internazionale che vale 25 miliardi di euro, e che vede primeggiare a livello quantitativo la Cina. In Italia il settore marmifero tocca oltre tremila aziende e dà lavoro a quasi 35mila addetti, posizionandosi al primo posto in Europa. Da solo, il bacino estrattivo di Carrara (che comprende anche territori nelle province di La Spezia e Lucca) genera un fatturato che – fra produzione nelle cave e attività delle aziende specializzate
nella lavorazione della pietra – sfiora il miliardo di euro. A questi contribuisce fra gli altri, ad esempio, anche la famiglia saudita dei Bin Laden, che nell’estate del 2014 tramite la SBG (Saudi Binladin Group) ha deciso di investire nel settore per ottenere il marmo destinato ai suoi numerosi progetti costruttivi, fra alberghi, scuole, ospedali, aeroporti e moschee.
Oggi Carrara, eletta Città Creativa Unesco, è popolata di numerosi artisti italiani e internazionali, sempre pronti ad aprire le porte dei loro studi e dei loro atelier, e magari ad aiutare i giovani studenti che ogni anno si laureano alla prestigiosa e antichissima (è stata fondata nel 1769) Accademia di Belle Arti. Gli occhi sul marmo non l’hanno messo solamente gli studiosi e gli artisti però: sia la ‘ndrangheta che la camorra che la mafia siciliana (le tre mafie italiane per eccellenza) operano da anni nel settore, infiltrandosi nelle aziende di escavazione, nel mondo dei trasporti, nella gestione dei rifiuti. Ma quella
criminale non è l’unica questione aperta: ci sono il problema ambientale e la reale sostenibilità di un estrattivismo che in molti definiscono esasperato. Non solo: la tecnologia ha cambiato tutto e oggi buona parte del marmo tolto dalle Alpi Apuane non impatta realmente sull’economia locale. Segato in blocchi, viene portato al porto di Carrara e spedito all’estero (soprattutto nei paesi del medio ed estremo oriente) dove verrà lavorato a costi molto inferiori. Negli anni Settanta del secolo scorso è stato il filo diamantato a rivoluzionare tutto. Certo, con l’introduzione di questa innovazione tecnologica la sicurezza e le condizioni dei lavoratori nelle cave sono decisamente migliorate, ma sul lungo periodo la manodopera è drasticamente diminuita e soprattutto
l’estrazione del marmo è moltiplicata esponenzialmente. Lo si dice spesso: è stato estratto più marmo negli ultimi trent’anni che nei due millenni precedenti. Serena Arrighi, sindaco di Carrara, sostiene che negli ultimi anni questa produzione è effettivamente diminuita, tanto che se nel 2001 nel territorio comunale (che ospita l’ottanta per cento delle cave attive) erano stati estratti 1,2 milioni di tonnellate di blocchi, nel 2023 la cifra era drasticamente più bassa (656mila tonnellate). Ma le conseguenze di un estrattivismo così lungo e intenso – al di là del trend degli ultimi anni – sono evidenti e variegate. La
questione ambientale, dicevamo: le falde acquifere e i fiumi sono inquinati a causa dei residui di lavorazione delle cave, come la micidiale marmettola. Mix di polvere finissima di carbonato di calcio con oli vari e metalli frutto della lavorazione, la marmettola diventa una specie di fango bianco che si infiltra nelle falde e ricopre i corsi dei fiumi, rendendoli impermeabili e alimentando le inondazioni.
Il sindaco Arrighi conosce bene questi problemi, ma la sua è una posizione scomoda: da un lato deve tutelare il patrimonio ambientale, dall’altro deve accettare il fatto che dai concessionari delle cave di marmo arrivi un quinto delle entrate comunali (che nel 2023 sono stati 26 milioni di euro). Il compromesso è la soluzione che il sindaco offre anche per il futuro, un punto di incontro fra lo sfruttamento esagerato e lo stop definitivo all’estrazione: “dobbiamo diminuire la quantità di marmo estratto ma al contempo mantenere sempre più nella città di Carrara il nostro know-how e dunque la filiera della
lavorazione”. C’è poi la presa di coscienza di un cambiamento radicale: il marmo non è più da tempo utilizzato unicamente per questioni artistiche, costruttive o decorative ma a fare gola sempre più all’industria contemporanea è il materiale chimico del quale è composto, il carbonato di calcio. Difficile citare le percentuali esatte ma a fronte di una scarsissima destinazione all’uso artistico (l’uno per cento) è molto probabile che – stando a diverse fonti, una fra tutte Legambiente – un buon settanta per cento dello scavato (al quale si
aggiunge parte del materiale di risulta presente da anni nei ravaneti) oggi diventi scarto, dunque polvere di carbonato di calcio. Che si usa praticamente per qualunque cosa: dai concimi alla produzione di cemento, dalle vernici all’agricoltura, dall’industria alimentare alla cosmetica, dalle cartiere allo sbiancante dei dentifrici.
Carrara ha da sempre una tradizione anarchica, fin da quando nel 1945 chi aveva combattuto con la Resistenza sulle Alpi Apuane aveva poi organizzato al teatro Politeama il primo congresso nazionale anarchico. Da anni quel teatro è tristemente abbandonato, specchio di una città che quando arrivi da fuori appare sempre più povera e in decadenza. È così: la disoccupazione è alta e il suo Comune è uno dei più indebitati d’italia, anche per gli enormi costi che ha dovuto sostenere negli anni per opere pubbliche a uso esclusivo di chi gestisce le cave. Come la celebre strada dei marmi, realizzata per evitare il traffico dei camion nel centro cittadino e costata 120 milioni di euro, una buona parte dei quali è stata accollata al comune di Carrara e dunque a tutta la cittadinanza.
Anche i ricchi imprenditori conoscono questi problemi e assicurano di operare nel rispetto della sostenibilità. Non solo: dal 2017 ad esempio è nata la Fondazione Marmo che – ideata da alcuni imprenditori del settore lapideo – ha deciso di impegnarsi con progetti sociali che abbiano una ricaduta sul territorio di Carrara. Presidente della Fondazione è Bernarda Franchi, che è al contempo anche amministratore delegato dell’azienda che guida insieme al fratello Alberto: la Franchi Umberto Marmi, fondata dal padre nel 1971.
Seduta nello showroom, Bernarda si lamenta che a Carrara in questo momento manchino le competenze e le specializzazioni da parte dei giovani, ma nega che i blocchi vengano solo esportati: una buona parte della lavorazione del marmo viene effettuata dagli artigiani cittadini. Dunque, va tutto bene? “Si può sempre migliorare – dice – ma nelle cave la sicurezza e il rispetto per l’ambiente dai tempi di mio padre sono cresciuti enormemente. Si estrae di meno, siamo attenti a non generare scarto ma puntiamo sempre di più alla qualità, oltre che al fatturato. Noi non siamo delinquenti. Io posso
capire in parte le critiche degli ambientalisti, ma vorrei fare notare che senza di noi, senza i nostri investimenti sul territorio, le cose da un punto di vista ambientale andrebbero anche peggio. Carrara e il suo marmo hanno un legame indissolubile, non possiamo negarlo: dobbiamo solo trovare un modo di convivere pacificamente”.
Evento realizzato nell’ambito del progetto Paesaggi Antropici, sostenuto dal Laboratorio di Creatività Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.