Affogati
Questa esposizione nasce da un’indagine intima sul paesaggio lacustre e sulla sua rappresentazione fotografica. Ogni immagine è il risultato di un processo che, pur partendo dal digitale, ricerca la grana, il respiro e le imperfezioni della pellicola.
Il paesaggio emerge dalla nebbia come da un sogno instabile.
I laghi diventano luoghi sospesi, dove tempo e spazio rallentano.
La solitudine come paesaggio condiviso
Nei laghi fotografati in Affogati non c’è vento, non c’è voce. Solo nebbia, superfici lisce, rive deserte. Eppure qualcosa si muove.
Queste immagini raccontano la cronaca silenziosa di un’assenza. È come se ogni lago fosse un autoritratto collettivo di un’epoca in cui il legame si è ritirato.
Lontano dall’estetica della natura pittoresca o della fotografia spettacolare, Affogati si muove nel vuoto: una bellezza sottile, che non si impone.
La mostra diventa così un gesto di sopravvivenza affettiva, in un tempo che ci vuole isolati.
Se qualcuno, dall’altra riva, lo sente — allora vuol dire che un legame è ancora possibile.
Gotico liquido. Estetica e tecnica tra fotografia e leggenda
L’estetica di Affogati si fonda su un linguaggio visivo preciso e riconoscibile, costruito a partire da scelte tecniche rigorose e contaminazioni culturali.
Il bianco e nero omogeneo annulla il superfluo, scolora la realtà e la rende tempo sospeso. Tutte le immagini sono realizzate con lente fissa, senza l’uso di zoom.
Il lavoro è fortemente ispirato da un immaginario gotico. Nebbie, rovine, acque ferme: Non è solo una suggestione visiva: molte delle leggende popolari legate ai laghi del Lazio — spiriti, apparizioni, mondi sommersi — affondano le loro radici proprio nel Medioevo, periodo in cui lo stile gotico dominava l’arte e la narrazione.
La componente musicale è parte di questa costruzione: un ascolto totale che parte dalle musiche etniche e approda al doom metal, genere decadente per eccellenza. Le sue sonorità lente, scure, meditative contaminano anche l’approccio fotografico e poetico della mostra.
Come il gotico, Affogati è fatto di contrasti: luce e oscurità, sacro e profano, vuoto e visione.
Ogni lago diventa un luogo simbolico, un altare naturale abitato da presenze dimenticate.
Fotografo e autore
Emiliano Bartolucci nasce a Roma nel 1976. Da sempre usa la fotografia come lente per osservare ciò che sfugge: volti, margini, nebbie.
Dopo una formazione al Centro Sperimentale di Fotografia ADAMS, avvia un percorso espositivo e di ricerca che lo porta tra Roma, Milano, Torino e Reykjavík, intrecciando fotografia, arte visiva e indagine sociale.
Le sue opere abitano territori fragili: l’assenza, la memoria, la sospensione. Ha collaborato con artisti islandesi, teatri indipendenti, scuole e associazioni. Conduce laboratori espressivi in cui la fotografia si fa racconto e relazione.
Nel 2025 fonda HERMANN, blog poetico e critico dedicato alla musica e alle arti sommerse.
Affogati è il suo lavoro più intimo: un viaggio nei laghi del Lazio, ma anche nell’anima delle storie che resistono sott'acqua.