La galleria Gilda Lavia di Roma ha il piacere di ospitare, Le Mangiatrici di Terra mostra personale dell’artista Pamela Diamante che inaugurerà lunedì 5 maggio alle ore 18.
La mostra si configura come un interrogativo estetico e politico su corpi plurali, soggettività e geografie, espresso attraverso un linguaggio visivo stratificato e composito, che si muove fluidamente tra memoria storica e realtà contemporanea.
Le “mangiatrici di terra” – artiste, attiviste, intellettuali, persone appartenenti al movimento queer – sono le protagoniste del progetto fotografico in divenire, che volge lo sguardo verso il Sud come spazio critico di riflessione e risignificazione.
Tra le presenze che animano questa costellazione visiva e politica, Nicole, artista, attrice e attivista, vice presidente del MIT – Movimento Identità Trans, fa della propria presenza scenica e politica un atto di visibilizzazione e riappropriazione; Marianna, attivista femminista e regista, denuncia con il suo lavoro le difficoltà di accesso all’aborto in Italia, Malta e Polonia, rivendicando il diritto alla scelta sui corpi; Marzia, madre della Terra dei Fuochi, ha trasformato il lutto per la perdita del figlio in una storica battaglia per il diritto alla vita e alla bonifica del territorio, opponendosi con forza alla camorra e all’indifferenza dello Stato; Nunzia, artista visiva, e Nina, performer, esplorano la condizione subalterna con sguardo trasfigurante, facendo della propria radice territoriale un terreno fertile per fioriture non conformi; infine, Tita, poetessa, artista e attivista, attraversa il progetto come figura sorgente, voce incarnata e relazionale, custode di una parola che si fa eco, corpo, resistenza. I loro gesti non si limitano alla rappresentazione, ma affondano nel tessuto vivo della realtà, facendosi carico di battaglie che, seppur differenti, condividono la stessa radice: la lotta per il diritto alla vita, all’autodeterminazione e alla parola.
A completare questa riflessione sul corpo come superficie di resistenza, il progetto si estende verso altre dimensioni espressive: da un lato la moda, intesa come forma di politicizzazione del corpo e dei suoi codici; con una scultura, realizzata in dialogo con la stilista Antonella, l’artista interviene nella costruzione di un’estetica che interroga lo sguardo e destabilizza l’ordine simbolico dominante; dall’altro lato la sperimentazione sonora, sviluppata all’interno del progetto Alleanze Sonore, amplifica e distorce la materia canora, riformulando la relazione tra parola, suono e presenza. In questo paesaggio acustico, la voce lirica di Anna Maria viene attraversata e manipolata dal lavoro di Puta Caso, generando una dissonanza volutamente radicale, dove il corpo vocale si fa spazio politico, strappo e detonazione.