In mostra 30 opere inedite (acrilici su stampe fotografiche) ci conducono all’interno di un atelier dove, a fine giornata, si ripongono gli oggetti utili alla creazione: forbici e pennelli di dimensioni varie, spilli, recipienti, compongono un universo popolato di strumenti a riposo fino al mattino successivo, in cui operosi ritroveranno la loro funzione tra le mani dell’artista.
È all’interno di questo universo estetico che si posa lo sguardo sensibile di Veronica Della Porta: dapprima li fotografa, nobilitandoli, successivamente li anima attraverso il tocco del colore che dona loro una nuova identità visiva, rendendoli “materia” che contribuisce alla creazione artistica. Non più strumenti – dunque – ma entità rivelate nel loro nuovo significato, portatrici di storia, funzione e estetica.
Osserva Isabella Ducrot nel testo in catalogo: “Come fa la fotografa Veronica a rimettere al loro posto le cose per loro natura trasandate? Fotografandole. Il suo sguardo le piazza all’interno del loro senso nascosto che lei solo conosce. Così la loro ragione d’essere diventa manifesta; grazie alla sua testimonianza, esteticamente ragionevoli diventano i pennelli, ragionevoli le forbici, ragionevoli le sedie.”
Protagonisti di una narrazione visiva che li esalta e rende significativi a loro volta come opere d’arte, “loro, gli strumenti, dapprima catturati e poi lasciati parlare da oggetti, si sono trasformati in soggetti, come se fossero animati e vivi, e il colore scorre lungo le loro belle sagome, quasi corpi esaltati dal vivido rosso, dal trionfante oro, arancio, violetto.” – annota Nora Iosia nel suo contributo critico. “L’artista ci si sofferma con lo sguardo e li traduce in nuove forme, come se li sorprendesse quando, rimasti soli, fuoriusciti dalle loro funzioni, liberi da legami, dialogano tra di loro e con lo spazio che li accoglie: e chissà allora quali storie si intessono tra le forbici per carta dalla punta affilatissima, giunte a Roma dal lontano Giappone, e quelle da sarto venute dall’India, tra i pennelli cinesi e gli spilli raccolti nella conchiglia di ceramica […]. Innumerevoli possono essere queste favole, racconti d’amore, giocosi, a lieto fine o struggenti come Il Soldatino di stagno e Veronica Della Porta ne suggerisce gli intrecci possibili e infiniti, perché innumerevoli sono le prospettive e gli attimi di vita degli oggetti dello studio di un artista che affiorano da una immensità discreta, non logorati dallo scorrere del tempo anzi artefici di una gioia senza alcun tempo. L’artista è assorta nella sicura ricerca di questa sostanza surreale che compone la quotidiana vita e fa sì che il colore vesta le forme, e i bianchi di fondo esaltino le sagome modificando i punti di vista e le prospettive. Questi oggetti vengono così amati e lasciati respirare, come se la loro presenza fissata nelle immagini fosse il deposito di tutte le vite che hanno attraversato e che attraverseranno, perché loro hanno una energia vitale straordinaria, e veicolano amore e attaccamento come tutto ciò che esiste al mondo, assorbono e restituiscono lo sguardo di chi li ha voluti, tenuti con cura e utilizzati felicemente.”