Galleria Eugenia Delfini è lieta di presentare la prima mostra personale di Nicolò Degiorgis in galleria.
Il lavoro di Degiorgis si compone di libri, fotografie, collage, video, mappe, documenti e installazioni che tracciano concettualmente i territori e le comunità in cui vive.
La mostra E se l’orizzonte non fosse il confine? è un tentativo di offrire una risposta artistica al tema della migrazione e presenta una serie di lavori a lungo termine che Degiorgis ha sviluppato negli ultimi anni sulle identità deterritorializzate, i corpi in transizione e le soggettività che fuggono, transitano e si ibridano sui confini.
In mostra, una serie di lavori fotografici sollevano riflessioni sulla crisi migratoria in Europa e sulle difficoltà dell’Unione Europea nel predisporre politiche comunitarie. Degiorgis affronta l’idea dell’altro, del diverso e dello straniero focalizzandosi sui temi come il senso di appartenenza, il concetto di confine e di distanza. Per fare questo l’artista si muove tra archiviazione, documentazione fotografica e progetti editoriali ed utilizza immagini troviate nel web che mettono in discussione l’utilizzo di queste all’interno dei canali mediatici.
Testo critico di Sara Dolfi Agostini
Nicolò Degiorgis (1985, Bolzano/Bozen) è un fotografo, editore e artista visivo cresciuto tra le terre di confine del Trentino-Alto Adige (I) e del Ticino (CH).
Formatosi accademicamente in Sinologia e Scienze Politiche, il suo lavoro ricerca fenomeni e concetti legati alle comunità minoritarie attraverso fotografie, libri, video, mostre e workshop. Nella sua pratica, particolare attenzione viene data alle persone soggette a regime carcerario e a quelle in condizione migratoria.
Degiorgis dirige Rorhof, casa editrice indipendente che opera come cooperativa incentrata sulla solidarietà e la sostenibilità e insegna all'Istituto Penitenziario di Bolzano e alla Fondazione Modena Arti Visive.
Le sue opere sono presenti in numerose collezioni private e pubbliche e sono state esposte a livello internazionale, tra cui al MAXXI e al Macro di Roma, alla Pinakothek der Moderne di Monaco di Baviera, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, al Mambo di Bologna e al Museion di Bolzano/Bozen. I suoi libri hanno ha ottenuto vari riconoscimenti internazionali, tra cui l’Author Book of the Year, Rencontres d’Arles (2014) e l’Aperture Paris Photo First Book Award (2014).
Galleria Eugenia Delfini è uno spazio espositivo fondato a Roma nel 2022.
La sua missione è promuovere artisti internazionali contemporanei e quelle pratiche interdisciplinari e teoricamente informate che offrono proposizioni per il cambiamento sociale e modi di stare insieme diversamente.
Eugenia Delfini è una curatrice gallerista di Roma formatosi presso la Sapienza di Roma, lo IUAV di Venezia e il Center for Curatorial Studies del Bard College di New York.
Delfini ha co-fondato e diretto il project space Sottobosco (Venezia, 2009-2013) e ricoperto ruoli curatoriali ed educativi presso il Guggenheim di NY e Bilbao; l’Hessel Museum of Art di NY; il The Drawing Center di NY; 80WSE Gallery, NY; The Clemente, NY; La Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il MACTE – Museo di arte Contemporanea di Termoli e molte altre istituzioni.
Interferenze
di Sara Dolfi Agostini
Nel romanzo Exit West dello scrittore anglopakistano Mohsin Hamid, la migrazione è presentata come un fenomeno pervasivo, inarrestabile, capace di riconfigurare costantemente il mondo. Per migrare, è necessario intercettare delle porte, che sono dappertutto, ma quelle nei paesi ricchi sono presidiate militarmente, al contrario di quelle dei paesi poveri, accessibili da chiunque. Il confine tra ricco e povero, stabile e pericoloso, è sottile, seppur trascurabile fino al preciso istante in cui tutto cambia.
Questo sforzo letterario di emancipare il fenomeno migratorio dal battage mediatico e propagandistico, di riumanizzarlo e sottrarlo all’interpretazione univoca – e funzionale – dell’Occidente, riverbera nella prima mostra personale di Nicolò Degiorgis, E se l’orizzonte non fosse il confine?, presso la Galleria Eugenia Delfini (20 settembre - 6 dicembre, 2023). Degiorgis è nato e cresciuto tra il Ticino e Sudtirolo, due territori di frontiera, dove il multilinguismo impone fin da giovani una presa di coscienza del divario tra l’appartenenza a una cultura dominante e a una minoranza culturale.
La sua pratica artistica esplora le interferenze del potere nelle sue declinazioni politiche, sociali ed economiche, sulla vita di individui e collettività. In particolare, si concentra sulla produzione di immagini volte a mettere in luce, e spesso anche a sovvertire, le contaminazioni ideologiche e propagandistiche che pervadono media e piattaforme culturali. Per Degiorgis, in ogni storia ci sono sempre due punti di vista, quello esterno a una comunità, che impone sull’altro un’esperienza di esclusione, che può sfociare in emarginazione o stigma, e quello interno, lo stesso che racconta Hamid, in cui confluiscono istinto di sopravvivenza, coesione e azione collettiva.
La domanda del titolo della mostra, E se l’orizzonte non fosse il confine?, mette poeticamente l’accento su due concetti, l’orizzonte e il confine, simili da un punto di vista semantico, eppure afferenti a mondi diversi. L’orizzonte è una linea naturale che si produce tra terra, o mare, e cielo nell’occhio di guarda, mentre il confine esiste all’interno di una civiltà, e si intreccia con la sovranità territoriale di uno stato, un principio giuridico moderno messo in crisi dai flussi migratori ma anche dalle spinte sistemiche di capitalismo, progresso tecnologico e globalizzazione.
Degiorgis ha formulato questa domanda nel 2017, invitato a concepire una mostra personale al Museo Plessi, un’istituzione costruita con finanziamenti europei per valorizzare luoghi di transito e di confine, in questo caso il Brennero. Per l’occasione incollò un foglio con la domanda tradotta in tre lingue – le stesse che parla lui, italiano, tedesco e inglese – sullo specchio del bagno del museo. All’uscita del bagno, i visitatori potevano prendere delle cartoline e rispondere anonimamente alla domanda, quindi imbucarle, che poi significava consegnarle all’artista.
Il progetto espositivo parte da questi contributi verbali anonimi di un pubblico eterogeneo, un probabile distillato di opinioni, sentito dire ed esperienza diretta. Degiorgis sintetizza questa babele di lingue e di idee, e produce un’installazione a muro, una mappa concettuale che espone fedelmente la calligrafia, i segni di interpunzione e l’uso dello spazio bianco della cartolina a opera dei visitatori del museo.
Quest’opera è presente anche in una versione più estesa e fresca di pubblicazione per Rorhof, la casa editrice indipendente fondata e diretta da Degiorgis dal 2014, con un catalogo di suoi libri e di altri artisti. Per lui, i libri sono strumenti artistici di divulgazione e luoghi di rifugio da un sistema dell’arte a tratti stagnante e chiuso in sé stesso. Oggi, Rorhof sta vivendo un periodo di trasformazione - da casa editrice a cooperativa sociale - che sancisce a livello istituzionale la volontà di proseguire con un doppio binario di intervento, artistico e socio-politico, capace di offrire alle tematiche sollevate e alle relazioni attivate negli anni un terreno di dibattito al di fuori delle mura del museo.
La decisione cristallizza le direttrici di un percorso di sinergia tra arte e militanza. Degiorgis, infatti, ha esordito indagando la rigida condizione di emarginazione della minoranza degli Uiguri in Cina (Oasis Hotel, 2014), per spostarsi nelle immediate vicinanze, nell’Italia del nord-est, e raccontare la difficoltà dei mussulmani di esercitare il diritto costituzionale relativo alla libertà di culto in Italia (Hidden Islam, 2014), e i frequenti episodi di odio razziale cui questi sono sottoposti (Hidden Islam – 479 Comments, 2014, e Lo Sceriffo e la Moschea Itinerante, 2017).
Poi, in corrispondenza dell’invito del Museion - Museo di arte contemporanea di Bolzano, a curare la sua prima mostra museale, ha affrontato la questione del confine da una prospettiva socio-culturale e geologica, indagando il binomio civiltà e natura (Heimatkunde, 2017 e Peak, 2014). È stato nello stesso periodo che ha sviluppato il suo primo progetto di intervento artistico e sociale, costruendo un parallelismo tra il museo e la prigione situata a pochi metri di distanza, dove insegnava ai detenuti ad esprimersi attraverso il linguaggio fotografico in una potente riflessione tra arte e vita (Prison Photography, 2017 e successivamente Prison Museum, 2021).
La mostra prosegue con una serie di opere afferenti alla questione della migrazione per mare, una ricerca intrapresa nel 2017 tutt’ora in corso. Allora, dopo la mostra al Museion, Degiorgis venne selezionato per un premio residenza all’Istituto Italiano di Cultura a Parigi, situato a pochi passi dall’Ambasciata d’Italia e dalla residenza del Primo Ministro francese. Nell’immaginario dell’artista, l’emergenza migratoria nel Mediterraneo e le frizioni tra i vari paesi sulla gestione della crisi umanitaria sovvertono i principi fondanti di solidarietà e cooperazione tra popoli di cui è simbolo la bandiera dell’Unione Europea. Da qui, l’idea di innescare dei cortocircuiti visivi volti ad attaccare il messaggio democratico affidato a rappresentazioni di un potere sovrano, come mappe, bandiere ed eventi statistici.
In Blue as Gold, che Degiorgis considera il progetto matrice di questa corrente di ricerca, un numero incalcolabile di barchette, emblema della fragilità della vita del migrante, giacciono ammassate in una busta trasparente dal doppio fondale, davanti blu e dietro dorato. In Eiland, la bandiera collocata all’ingresso della galleria, la mappa di Wikipedia dell’isola di Lampedusa, frontiera sud dell’Italia in cui l’artista ha trascorso alcuni mesi, si moltiplica fino a costruire un fitto reticolato che ricorda il camouflage militare. La simbologia militare ricorre nel titolo di Mare Vostrum, accostata concettualmente alla bandiera e alla barca in una serie di quattro drappi realizzati con l’ausilio dell’intelligenza artificiale e immagini stock. Nella stanza adiacente infine, si trova Europa, un’immagine fotografica di un frammento di bandiera europea dalle cromie invertite, con le stelle blu che fluttuano in un cielo dorato.
Due presenze il cui statuto, rispettivamente di oggetto e immagine, sembra confondersi nell’occhio dello spettatore, impongono un confronto con la realtà dal punto di vista dei migranti. Il primo è Opera di reato, un assemblaggio di due copertoni di motocicletta usati come salvagente e lasciati sulla battigia a Lampedusa, insieme a tanti altri. L’oggetto però non è un ready made di duchampiana memoria. È invece un corpo di reato, e anche un’immondizia di difficile smaltimento, che apre un dibattito ecologico, di corpi e cose, sulla migrazione. Appesi al muro con un chiodo, i copertoni esprimono il criticismo di Degiorgis nei confronti della strategia di appropriazione artistica in contesti socio-politici sensibili.
La seconda opera in questione è una fotografia di piccolo formato e stampo documentario che riporta nel titolo la scritta apposta da un migrante su una baracca del campo profughi di Dunkirk, My Head Under Water but Breath Fine. Nonostante le parole, l’immagine trasmette un forte senso di apnea, accentuato dal fatto che quella casa temporanea non esiste più, inghiottita dalle fiamme che hanno distrutto alcuni anni fa il campo profughi. D’un tratto torna in mente la reazione del padre del protagonista del libro di Hamid, quando questi lo informa di aver deciso di varcare una delle porte, alla ricerca di un futuro migliore. Lui resta in silenzio per un po’, poi dice “speriamo”.
Sara Dolfi Agostini (1983) è curatrice di arte contemporanea, scrittrice e docente italoamericana di base a Napoli (Italia) e Malta. Nel corso degli anni, ha svolto ricerche sulla cultura visiva, sulla politica della rappresentazione e sulla teoria della circolazione delle immagini e ha curato mostre offline e online, commissioni di arte pubblica e programmi di residenza digitale. Ha lavorato come co-curatrice del progetto di arte pubblica ArtLine Milano per il Comune di Milano (2013-16), curatrice del Centro d'Arte Contemporanea Blitz Valletta (2018-23) ed è attualmente curatrice della Fondazione Paul Thorel a Napoli (2021-in corso). Dal 2008 è collaboratrice per giornali e riviste internazionali, tra cui Il Sole 24 ORE, Flash Art magazine e Art Basel. Nel 2024 co-curerà il Padiglione di Malta alla 60sa Biennale di Venezia.
Crediti immagini
Nicolò Degiorgis, E se l’orizzonte non fosse il confine?, 2023. Installation view della mostra alla Galleria Eugenia Delfini, Roma, 20 settembre – 6 dicembre 2023. Foto di Carlo Romano. Courtesy dell’artista e della galleria.