dal 24.05.2023 al 10.10.2023
Banca Patrimoni Sella & C.
Lo storico palazzo novecentesco di Largo Tartini, sede romana del private banking di Banca Patrimoni Sella, accoglie circa venti lavori fotografici dell’artista siciliano, alcuni dei quali (ironicamente?) dedicati al tema della moneta che, apparendo e scomparendo all’interno di paesaggi metropolitani, permea incessantemente lo spazio quotidiano del mondo contemporaneo.
Le opere fotografiche di Davide Bramante si costruiscono per accumuli di materiali visivi, stratificazioni di paesaggi, luoghi e persone, sovrapposizione di elementi eterogenei (architetture, figure umane, automobili, cartelloni pubblicitari, banconote, lampioni, insegne luminose ecc.), perché, come afferma l’artista stesso “il mio modo di fotografare è identico al mio modo di ricordare, pensare, sognare, sperare, tutto avviene per sovrapposizioni temporali e spaziali”. Le immagini non sono però lavorate in postproduzione ma frutto della particolare tecnica fotografica utilizzata, che consiste in esposizioni multiple - da quattro a nove scatti eseguiti in modalità analogica, in fase di ripresa - su uno stesso fotogramma, permettendo così di assemblare in un’unica immagine l’esperienza visiva dei viaggi di Bramante (Londra, Parigi, Roma, Torino, Marrakesh ecc.) e la sua capacità di cogliere elementi eterogeni di quei luoghi, ricomponendoli in modalità visive inusitate.
Le fotografie di Bramante sono immagini composite, in cui la commistione di antico e moderno, la simultaneità di luoghi e monumenti, la giustapposizione di frammenti visivi e figure umane creano una miscela visiva esplosiva, di una tale complessità strutturale che tocca a ciascuno spettatore decrittare, assegnando ad essa un proprio personale significato.
Nelle opere dell’artista, l’accostamento concettuale di paesi, città, culture, opere, monumenti annulla le categorie spaziali e temporali, rendendo ogni fotografia la pagina di un ricco diario di viaggio ma anche il frutto di una nuova concezione di “vedutismo” che antepone alla fissità del ritratto naturalistico, all’ossessione per la cattura dell’attimo perfetto la proposta di un’immagine cinematica, di un dinamismo compulsivo che si liquefà apparentemente e continuamente, per poi in realtà ricomporsi, all’occhio allenato del cittadino metropolitano, in una sorta di landscapeimmaginari, veri e propri paesaggi dell’anima.
NOTE BIOGRAFICHE
Davide Bramante (Siracusa, 1970) ha lavorato e vissuto a Torino, Roma, Bologna, Milano, Londra e New York. Dopo la laurea all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino (1995), inizia a viaggiare tra l’Italia e gli Stati Uniti. Nel 1998 e nel 1999 vince due borse di studio presso la prestigiosa Franklin Furnace Foundation e partecipa a una mostra collettiva al MOMA di New York. Ha realizzato numerose mostre tra personali e collettive ospitate nei musei, fondazioni e gallerie di tutto il mondo, tra cui Galleria di Arte Moderna di Sarajevo (1998), Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia (1999), Palazzo delle Esposizioni di Roma (2001), GAM di Bologna (2001), Palazzo delle Papesse di Siena (2003), Kunsthaus Tacheles di Berlino (2005), Palazzo della Permanente di Milano (2006), Palazzo Re Enzo di Bologna (2009), PAN di Napoli (2012), Schauwerk Foundation di Sindelfingen (2013), Museo di Trastevere a Roma (2014), Bongsan Cultural Center in Busan/Korea (2014), Galleria d’Arte Moderna di Palermo (2015), Museo RISO per l’Arte Contemporanea di Palermo (2015), Korea Foundation a Seoul (2016), Palazzo Bevilacqua di Bologna (2019), Istituto Marangoni di Miami (2021).
Nel 2018 è vincitore del Canova Prize (Art Business). Ha partecipato a numerose fiere, tra cui Art Basel, Art Cologne, Artissima, MiArt, ARCO, FIAC, Palm Beach 3, Paris Photo, MIA&D Fair Singapore. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private, tra cui GAM di Torino, Galleria d’Arte Moderna di Palermo, Castello Sforzesco di Vigevano, Schauwerk Foundation, Unicredit, Credem. Oggi Davide Bramante è riconosciuto a livello internazionale per le sue foto di grande formato che ritraggono le città metropolitane di tutto il mondo, realizzate con la tecnica analogica della esposizione multipla in fase di ripresa, risultato di più scatti – da quattro a nove – sullo stesso fotogramma. Da sempre l’artista cerca di far convivere all’interno del suo lavoro le tre cose che ama di più: l’arte, la fotografia e il viaggio.
Testo critico di Simona Brusa
in collaborazione con Chiara Serranti
Nel saggio L’Umorismo (1908) Pirandello scrive: “La vita è un flusso continuo che cerchiamo di arrestare e di fissare in forme stabili”. Una frase che, ad oltre cento anni di distanza, sembra catturare l’essenza di un altro artista, Davide Bramante, in una sorta di dialogo immaginario che lega due uomini, lontani nel tempo e nello spazio ma uniti dallo stesso amore per la propria terra, la Sicilia, e da una poetica che rifugge la linearità e la semplicità a favore del reticolo, del groviglio narrativo (e visivo) che solo lo spettatore può sciogliere (o complicare ulteriormente).
La matrice delle fotografie di Bramante è infatti frutto di un’azione, di un momento, di una esperienza di viaggio, di un frammento visivo, di figure che vengono raccolte e ricomposte nell’immagine. Sovrapposizioni e giustapposizioni stratificano l’immagine rendendola iper-visiva, iper-materica, lasciando allo spettatore il compito di decrittarla ma anche di assegnare nuovi personali significati alla complessità.
Le sue opere sono frutto di esposizioni multiple sullo stesso fotogramma, comprendenti da quattro a nove scatti eseguiti in modalità analogica, in fase di ripresa, senza alcun lavoro di postproduzione, nessuna elaborazione digitale, nessuna manomissione da parte dell’artista, perché, come lo stesso Bramante afferma, “arte deriva da arti, fatto con le mani, io mi sento artista fotografo perché uso l’analogico, se usassi il digitale mi sentirei meno artista”.
Il flusso di cose visive che permea ogni aspetto della vita moderna reclama continuamente attenzione, l’occhio viene distratto dall’inquinamento visivo della città (sovrapposizioni di cartelloni pubblicitari, rovine antiche, pali, semafori, taxi, autobus…). Bramante sembra cogliere nelle sue fotografie tale continua stimolazione visiva realizzando un “vedutismo” contemporaneo in cui l’area dello spazio fotografico diviene un palinsesto urbano, un accumulo bulimico di relitti visivi capace di apparire significante a chi, sfruttando la vista periferica, ben allenata, da cittadino metropolitano, sa interpretare questo dinamismo compulsivo di stratificazioni temporali e spaziali, riportandolo alla propria individualissima esperienza umana e culturale.
Se “la fotografia è il mezzo e la memoria dell’epoca moderna” (L.Buck e J.Greer), per Bramante diventa lo strumento dell’epoca post-contemporanea proprio perché in lui perde il fine prettamente documentaristico e descrittivo figlio del secolo della rivoluzione industriale e tecnologica, si sgancia dal dogma della fissità, dall’ossessione per la cattura dell’attimo perfetto ed irripetibile, e si liquefà, cinematicamente, in movimenti visivi scanditi da piani prospettici sovrapposti che creano landscape immaginari, veri e proprio paesaggi dell’anima.
“Le stratificazioni e le velature che presenta ogni immagine mi riconducono alla storia della mia terra e del mio popolo, siamo un po’ Arabi, Normanni, Bizantini, Spagnoli…”: eccolo il nostro Personaggio in cerca d’autore (si, ancora la Sicilia ed il suo celebre commediografo), mettersi a caccia di un’identità (la propria) così stratificata nel tempo e divenuta oggi talmente fluida da non essere quasi più riconoscibile se non nella fusione delle proprie memorie culturali con quelle dell’altro da sé, di paesi e genti lontane dall’amata Trinacria.
Come novello Marco Polo, Bramante si mette allora in viaggio, un itinerario senza confini dove i suoi scatti non si identificano in coordinate geografiche o in un dato tempo, ma rispecchiano l’idea dell’abitare costruendo un luogo e disponendo di spazi: “un luogo non è un dato, ma il risultato di una condensazione” (A. Corboz).
Le sue “Città invisibili”, i suoi (e i nostri) paesaggi dell’anima, sono tali perché non osservabili empiricamente ma, parafrasando il celebre viaggiatore veneziano, esse si presentano discontinue nello spazio e nel tempo, ora più rade ora più dense, ma non per questo si può rinunciare a cercarle.
L’accostamento concettuale di paesi, città, culture, opere, monumenti e scritte rende ogni fotografia la pagina di un ricco diario di viaggio. La commistione di antico e moderno, la simultaneità di luoghi e persone, la sensazione che l’immagine stia per svanire per poi ricomporsi sono caratteristiche connaturate alla tecnica utilizzata dal fotografo che gli permette non solo di assemblare all’interno di un unico scatto l’esperienza stessa dei suoi viaggi attraverso associazioni e collegamenti personali (forse, a volte, invisibili agli occhi degli spettatori) ma anche di proporre abbinamenti e collegamenti visivi audaci, inusitati, insoliti.
Osservare le foto di Bramante corrisponde quasi alla sensazione di sbirciare all’interno di un’agenda personale o di frugare furtivamente sulla scrivania di qualcuno: i post-it, le fotografie, le annotazioni sono un insieme eterogeneo di cose riunite in un unico momento. Nel suo personalissimo Musée Imaginaire, Bramante realizza nuove scenografie del mondo, in cui possono coesistere in un unico ristretto spazio (quello della lastra fotografica) il Colosseo e il Gazometro, la Torre Eiffel e la Metrò, il Taj Mahal e il Tempio d’Oro.
Se dai paesi visitati nei suoi viaggi Bramante ha ricavato in passato principalmente suggestioni legate alla loro cultura ed organizzazione sociale (i luoghi e le genti dell’altrove), nei lavori più recenti si spinge provocatoriamente oltre e ne va ad indagare/rappresentare il totem dei totem della contemporaneità, il denaro (la valuta, la moneta, la banconota…). Del resto, a partire dal XIX secolo, come afferma Jonathan Crary, “la fotografia e il denaro divennero due forme omologhe di potere, identificabili in due sistemi totalizzanti che permettono di legare e unificare tutti i soggetti all’interno di una singola rete globale di valutazione e di desiderio. Come il denaro per Marx, anche la fotografia è un grande strumento di livellamento, di democratizzazione, un puro e semplice segno, un prodotto arbitrario della riflessione umana”.
Ecco allora che un dollaro o venti rupie appaiono e scompaiono nelle fotografie delle metropoli e si giustappongono ai tradizionali topoi visivi delle città e della loro popolazione: ma le banconote, sorprendentemente, e contrariamente a tutti gli altri elementi della composizione, non sono riprese in analogico ma aggiunte in postproduzione con un atto di imposizione volontaria dell’artista, come a sottendere che esse attraversano (dominano?) lo spazio quotidiano del mondo contemporaneo anche quando pensiamo che ciò non avvenga. Del resto “la moneta, la finanza, i suoi simboli sono parte essenziale della realtà e del suo divenire, e come tali vanno rappresentati” (L.Zitiello). Non vi è moralismo, non vi è pregiudizio ideologico, solo la purezza di una constatazione incontrovertibile: il denaro permea la contemporaneità e le linee dei suoi numeri sono ormai divenute simboli senza confini geografici giacché universalmente riconosciuti e riconoscibili.