dal 20.10.2018 al 03.11.2018
Galleria Pietrosanti GdA
Il fotografo e regista Danilo Mauro Malatesta presenta la sua prima personale nel cuore della Roma cristiana. La mostra si sviluppa in due parti distinte ma in profondo dialogo tra di loro: si comincia con quattro fotografie e una piccola installazione che conduce direttamente al fulcro finale del percorso, la Sindone. La narrazione inizia dalla frammentazione del vivere contemporaneo: modi di pensare, tensioni e intolleranze. L'urgenza nei ritratti della figura del Cristo di Danilo Mauro Malatesta è una sfida che scruta e denuda direttamente l'intimo umano, indirizzando il laico, il religioso e l'ateo direttamente alla questione dell'identità. Il volto, la mano e gli strumenti della passione costituiscono i particolari sui quali Malatesta si è concentrato per restituirne un'immagine scomposta in tante schegge, ottenute nella distruzione della lastra vitrea, al solo scopo di impedire una visione limpida e unitaria del soggetto. L'indeterminatezza e l'indefinitezza di queste fotografie provoca un iniziale smarrimento del visitatore. La perdita di una visione e di una verità univoca implica un vuoto morale e un profondo senso di solitudine. Nel mondo contemporaneo, una "società paradisiaca" domina ormai le nostre esistenze e non lascia posto all'incertezza e all'errore. Il fotografo ha deciso dunque di correre questo rischio e la distruzione dell'opera è diventata così, azione creativa dell'individuo che, posto davanti al risultato, non può che indagare la disgregazione e procedere alla ricostruzione dei legami con il passato e con il presente. Sappiamo che è il Cristo morto sulla croce per noi ma ciò che interessa veramente, è la messa in discussione dell'approccio con noi stessi, con il mondo e quindi, con gli altri. L'idea generale della mostra deriva dalla storia stessa della macchina fotografica e da Secondo Pia che la utilizzò per immortalare per la prima volta il volto di Cristo attraverso la tecnica dell'ambrotipia. Proprio come fu per quell'opera, il risultato del lavoro di Malatesta rivela notevoli affinità proprio con il sudario che avvolse il corpo di Cristo: l'unicità e l'esclusività che riattualizza un momento storico mai vissuto e che ora si presenta agli occhi dell'uomo contemporaneo con tutta la sua forza. Le tracce sul vetro riproducono i tratti anatomici dell' "Uomo della croce" in scala 1:1, portando l'opera a una lunghezza complessiva di circa 5mx60 cm. Nell'osservazione della figura del Cristo è come se si rinnovasse l'atto della crocifissione e con esso il vivo senso di colpa, di chi non ha avuto fede e ancora oggi ogni giorno da testimone diviene vittima sacrificale di un complesso svuotamento delle icone cristiane in semplici oggetti manufatti. Questa seconda parte tenta di dare conforto e sciogliere questi nodi in quello che ci è rimasto della morte del Cristo, il Sudario. La morte ha frantumato i limiti storici dell'individualità del Cristo e ha liberato lo spirito come atto di sacrificio fino a completarsi nel sacro Sudario, tra venerazione e forza spirituale. La decomposizione della modernità è così ricostruita nella testimonianza del passaggio del corpo su quel sacro lenzuolo. L'installazione della Sacra Sindone in ambrotipia non è la vera costruzione ma l'inizio di un percorso contemplativo e meditativo sul senso della religiosità oggi, lasciandoci con nuovi e impellenti interrogativi. Testo critico di Silvia Mattina